Patto di durata minima
Datore di lavoro e lavoratore possono apporre al contratto un patto di durata minima. In generale il patto ha lo scopo di vincolare le risorse più qualificate e preparate e consente quindi al datore di rafforzare il vincolo contrattuale.
Con la sottoscrizione del patto di durata minima, datore di lavoro e lavoratore stabiliscono, di comune accordo, che il rapporto di lavoro, sia esso a tempo determinato o indeterminato, non potrà essere risolto prima di un determinato periodo di tempo, concordato di comune accordo.
Tale clausola è sempre ammissibile e non deve considerarsi in alcun modo vessatoria; pertanto, non è richiesta l’approvazione per iscritto.
Rimane fermo che, in presenza di giusta causa di licenziamento, non si applica la clausola di garanzia ed è quindi possibile il recesso anche durante la vigenza del patto.
Nel caso di dimissioni anticipate, non per giusta causa, rispetto al termine fissato nella clausola, il lavoratore è tenuto a risarcire il danno causato al datore di lavoro secondo le modalità stabilite dalla clausola stessa. Rientrano nel danno da risarcire, ad esempio, i costi sostenuti per la formazione, quelli relativi al reclutamento, ecc. Se, invece, il lavoratore si dimette per giusta causa avrà diritto, nel caso di contratto a tempo indeterminato, al preavviso e al risarcimento del danno per il periodo minimo stabilito.
Nel caso in cui è il datore di lavoro a recedere, non per giusta causa, quest’ultimo pagherà al lavoratore quanto concordato nella clausola. Ad esempio, potrebbe essere dovuto il pagamento dell’intero compenso pattuito nella clausola e riferito al periodo garantito, fatta salva la possibilità di detrarre il guadagno che il lavoratore ha ottenuto lavorando altrove.
In caso di recesso per giusta causa da parte del lavoratore, la somma erogata dal datore di lavoro a titolo risarcitorio viene tassata separatamente utilizzando l’aliquota del TFR.
La somma, invece, erogata dal lavoratore al datore di lavoro, sempre a titolo risarcitorio per recesso anticipato, non ha rilevanza nella determinazione del reddito di lavoro dipendente; l’eventuale trattenuta, effettuata dal datore di lavoro, va operata dal netto dovuto al dipendente.