Licenziamento per giusta causa
Il licenziamento è per giusta causa quando il datore di lavoro recede dal contratto, senza dare preavviso, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto (art. 2119 c.c.).
È inefficace il licenziamento comminato per giusta causa, ingiunto durante il periodo di preavviso, dovuto a un altro licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cass. n. 22443/2010).
Le caratteristiche essenziali del licenziamento per giusta causa sono:
- immediatezza della contestazione e, cioè, la necessità che non trascorra un periodo di tempo troppo lungo tra il fatto e l’intimazione del licenziamento (Cass. n. 2433 del 7.3.1987). Se, però, la condotta contestata è frutto di una serie di fatti, la contestazione può seguire il compimento dell’ultimo fatto, anche se ad una certa distanza dai precedenti (Cass. n. 129 del 10.1.1996);
- immutabilità dei motivi (Cass. n. 2950 del 21.6.1989).
L’interpretazione più diffusa in giurisprudenza è quella che individua la giusta causa nella violazione dell’elemento di fiducia posto a base del rapporto, più che sulla presenza di uno specifico inadempimento del lavoratore (Cass. n. 10503, 22.10.1993) o della sussistenza di un danno patrimoniale per il datore di lavoro (Cass. n. 14567, 27.12.1999).
La valutazione del datore di lavoro non è però insindacabile, potendo il giudice accertare la presenza dei presupposti della giusta causa (Cass. n. 3194, 4.7.1989), ossia della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto di fiducia che deve essere operata in concreto.
È illegittimo, per mancanza della giusta causa, il licenziamento intimato a un dipendente rifiutatosi di prestare attività lavorativa, a causa di una serie di carenze di natura igienico-sanitaria all’interno del cantiere presso cui era addetto e del conseguente potenziale pregiudizio alla salute (Cass. 26114/2014).